Francesco Rampone
Presidente Associazione Blockchain Italia
22/03/2018
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Compro casa e pago in bitcoin
Perché il parere del Notariato non convince del tutto
Per comprare casa occorre il rogito di un Notaio il quale garantisce la possibilità e l’effettività giuridica del passaggio di proprietà nel rispetto di alcune norme, tra cui quelli a presidio dell’antiriciclaggio.
In particolare, si tratta delle disposizioni in materia di limitazione (i) all’uso del denaro contante (art. 49 del D.Lgs. n. 231/2007, come modificato dal D.Lgs. n. 90/2017) nonché (ii) quelle in materia di indicazione analitica dei mezzi di pagamento (art. 35, comma 22, del D.L. n. 223/2006, convertito con modificazioni in L. n. 248/2006).
Sulla loro applicazione si è espresso il Consiglio Nazionale del Notariato con proprio parere (Quesito Antiriciclaggio n. 3-2018/B) il quale, dopo una lunga dissertazione sulla natura e sul funzionamento dei bitcoin – non senza stigmatizzarne l’utilizzo per una pretesa intrinseca volatilità e onerosità –, ha concluso sostenendo innanzi tutto che l’art. 49 del D.Lgs. n. 231/2007 (limitazione di uso del contante) non si applica ai bitcoin (ancorché comunemente noto come contante digitale) in quanto si tratterebbe di una inammissibile interpretazione evolutiva della norma. Opinione, questa, assai condivisibile; non tanto per il rispetto della sostanza del “fenomeno bitcoin” (i bitcoin hanno effettivamente le medesime caratteristiche del comune contante fisico), ma più che altro per il rispetto dovuto al principio giuridico di interpretazione restrittiva di norma eccezionale. Pertanto, per applicare il richiamato art. 49 anche alle criptovalute possiamo solo fare affidamento in un eventuale intervento futuro del legislatore.
Meno condivisibile è invece la seconda questione su cui si è espresso il CNN, laddove non ha ritenuto applicabile ai pagamenti in bitcoin la disposizione dell’art. 35, comma 22 del D.L. n. 223/2006 (l’obbligo di indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo).
Così motiva il Consiglio:«l’indicazione delle chiavi pubbliche non soddisferebbe il requisito della tracciabilità, in quanto non consente di risalire al titolare del portafoglio virtuale. L’indicazione delle chiavi private associate alle chiavi pubbliche (che comunque non dà certezze legali sulla titolarità del conto virtuale) è improponibile giacché renderebbe pubblico lo strumento per disporre della valuta virtuale».
E ancora: «I sistemi di accesso informatici, senza eccezioni, non si fondano sul concetto di “identificazione” bensì sulla mera verifica di credenziali informatiche; la differenza, soprattutto ai fini della normativa antiriciclaggio, non è di poco conto. L’utilizzo di un sistema informatico non può mai garantire, pertanto, l’identità del soggetto che effettua un accesso, essendo tale sistema unicamente programmato per abilitare determinate funzioni qualora l’utente sia provvisto delle corrette informazioni di sblocco (pin, codici, etc.)».
Chi conosce bene come funzionala blockchain, coglie al volo gli errori di quanto sopra, ovvero la semplicistica assimilazione delle transazioni in bitcoin alle operazioni effettuate attraverso i comuni servizi di on-line banking.
Ma prosegue il Consiglio sottolineando una presunta differenza tra pagamenti in bitcoin e pagamenti in contanti dove, a differenza dei primi, il pubblico ufficiale rogante assiste al – e testimonia il – passaggio materiale di contanti o assegno circolare, cosa che non avverrebbe nell’utilizzo di criptovalute. Ecco il passaggio:
«…mentre in talune transazioni effettuate in contanti il pubblico ufficiale può essere testimone di una traditio che avviene in sua presenza, con ciò rendendo in qualche modo tracciato almeno un singolo segmento del flusso anonimo del contante, l’operazione in bitcoin costituisce una transazione che potrebbe essere definita apparente; essa proviene, infatti, da un “conto”, che l’acquirente dichiara essere proprio, ad un altro conto del quale, parimenti, il venditore asserisce la titolarità, ma il tutto senza che possa esservi il benché minimo riscontro della veridicità di tali dichiarazioni».
Come si nota, qui il Notariato trascura un fatto fondamentale, ovvero che i bitcoin sono contante virtuale e che l’identificazione dell’ordinante e del beneficiario del pagamento è senz’altro possibile senza eccezioni, anche se effettuato in bitcoin.
Vediamo come.
È sufficiente che l’ufficiale rogante si faccia parte attiva nella traditio e si attenga alla presente procedura:
1. Creazione nuova coppia di chiavi asimmetriche. In presenza delle parti, il notaio crea due coppie di chiavi asimmetriche (operazione assai semplice che è possibile fare con innumerevoli tool a disposizione anche in rete), chiamiamole “coppia C”, come Compratore, formata dalla chiave privata Cpr e dalla chiave pubblica Cpu, e “coppia V”, come Venditore, formata dalla chiave privata Vpr e dalla chiave pubblica Vpu.
2. Assegnazione delle chiavi. L’ufficiale assegna le chiavi alle parti, e quindi la coppia C al compratore e la coppia V al venditore (è irrilevante in questa fase che le chiavi private Cpr e Vpr siano visibili a tutti).
3. Transazione preliminare. Il notaio chiede al compratore di effettuare il pagamento dell’importo di compravendita al suo nuovo indirizzo Cpu. Il compratore, quindi, utilizza i bitcoin in suo possesso sbloccando una o più transazioni di cui ha la chiave privata ed effettua l’accredito sull’indirizzo Cpu.
4. Verifica e pagamento (seconda transazione). Il notaio, verificata la transazione (ovvero aggiunto in blockchain il blocco contenente la transazione e atteso un ragionevole tempo di convalidazione – circa sei blocchi), chiederà sempre al compratore di utilizzare la chiave privata Cpr a lui assegnata per trasferire l’importo appena accreditato “a favore” della chiave pubblica del venditore Vpu.
Con il quarto passaggio il pagamento è stato effettuato verificando altresì l’identità del compratore pagante e il venditore, a sua discrezione, potrà utilizzare a questo punto la sua chiave privata Vpr per trasferire il prezzo su un proprio “conto” sicuro (non creato dal Notaio, ma preesistente), oppure potrà tenere i bitcoin su Vpu confidando che né il notaio né controparte siano tentati di appropriarsene utilizzando Vpr (a loro nota).
Con i quattro passaggi sopra visti, apparentemente complicati, ma in realtà assai semplici (in sintesi, si creano due coppie di chiavi e si chiede al compratore di fare una doppia transazione), il notaio è in grado di testimoniare a tutti gli effetti la traditio, ovvero che il compratore e il venditore da lui identificati siano rispettivamente il tradens e l’accipiens dell’operazione di pagamento.
A riprova che il parere del Notariato è sbagliato, va aggiunto che sono in circolazione versioni fisiche dei bitcoin (l’esempio più noto è Casascius – qui). Cioè supporti che consentono l’utilizzo di un credito in blockchain una sola volta. È chiaro che tali “monete” dal punto di vista della tracciabilità non sono affatto diverse dal comune contante a corso legale.