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Blockchain 2.0: serve davvero in settori non fintech?

5 Marzo 2020 0

Pubblicazione - Associazione Blockchain Italia

 

 

 

 

 

Francesco Rampone
Presidente Associazione Blockchain Italia

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20 gennaio 2020

Blockchain 2.0: serve davvero in settori non fintech?

 

Prolificano le aziende che adottano soluzioni blockchain in settori non finanziari. Dalla supply chain alla filiera agroalimentare, dalle fake news alla sanità, dal real estate alla mobilità.

Tutto ciò che prima si faceva con applicativi tradizionali, ora pare si possa fare meglio (o solo) con la blockchain. Come dire: basta la parola!

Ma davvero la blockchain è così versatile da rispondere ad esigenze in settori così disparati?

1.      Cosa fa in poche parole la blockchain.

Le operazioni di tenuta dei registri – operazioni di annotazione delle partite e custodia dei libri – sono tradizionalmente state compiute sempre da un organo a ciò preposto, fiduciariamente ritenuto super partes, o quasi. Chiamiamolo tenutario del registro.

I conti correnti bancari, i conti del panettiere, i punti freccia del treno, i punti fragola del supermercato, le estrazioni del lotto, le raccolte fondi di beneficenza, ecc. sono tutti casi in cui un registro contabile è nella disponibilità di un soggetto a cui accordiamo fiducia affinché provveda alle operazioni di annotazione e di custodia.

Nessuna tecnologia, prima dalla blockchain, è mai riuscita a sostituire il tenutario del registro, e quindi a garantire che il registro si aggiornasse correttamente e fosse adeguatamente protetto da modifiche opportunistiche. Anche quando il registro assume la forma digitale, esso è pur sempre conservato su una macchina ed è aggiornato da un software che sono nella disponibilità di un soggetto del quale, in definitiva, dobbiamo riporre fiducia.

Ebbene, la blockchain per la prima volta sottrae la disponibilità della macchina e del software, e quindi del registro, ad un custode specifico e li rimette nelle mandi di una comunità di nodi che interagiscono secondo un protocollo peer-to-peer, preferibilmente open.

La blockchain fa quindi, in estrema sintesi, una cosa sola: toglie il potere al tenutario del registro e lo distribuisce nelle mani dei soggetti interessati alle partite contabili in esso annotate. L’effetto di tale distribuzione è la possibilità di fare a meno del fiduciario e quindi elevare la garanzia che le entry siano contabilmente corrette e al tempo stesso propriamente conservate e non modificate all’occorrenza di qualcuno.

Alla luce di quanto precede, possiamo quindi dire che una blockchain, attraverso l’esecuzione di un protocollo di consenso distribuito, consente di alimentare e mantenere un registro contabile che eleva ai massimi livelli due proprietà:

  1. validazione: garantisce la correttezza contabile delle entry;
  2. permanenza: garantisce l’inalterabilità delle entry.

Considerando queste due caratteristiche, possiamo concludere che la blockchain consente di scrivere una “storia” a più mani, al tempo stesso coerente e non modificabile.

Storia, perché le entry (partite) sono annotate in sequenza cronologica.

A più mani, perché il registro è aggiornato in modo autonomo da tutti gli attori che hanno credenziali di tipo write.

Coerente, perché le entry sono assoggettate prima della loro annotazione nel registro ad un protocollo di consenso a vocazione maggioritaria, di carattere contabile e pubblico.

Non modificabile, perché il registro è distribuito presso un network di nodi che indipendentemente gli uni dagli altri ne conservano una copia e verificano che sia identica a quella in possesso della maggioranza degli altri nodi.

Fin qui ho scritto cose tutto sommato abbastanza note. Vediamo ora però se e come le proprietà della blockchain di validazione e permanenza si possono declinare fuori dal mondo fintech.

2.      Disintermediazione

Con le proprietà A e B non ho annoverato la tanto sbandierata “disintermediazione”.

La blockchain, infatti, non disintermedia più di quanto faccia qualsiasi altra tecnologia. Le tecnologie in generale fanno sempre sostanzialmente due cose: da un lato aumentano qualità e/o quantità di prodotti e servizi, dall’altro riducono o addirittura eliminano il lavoro necessario per ottenerli. In questo ultimo caso è inevitabile che il lavoro di qualcuno sia sostituito da una macchina o da un algoritmo.

Una qualsiasi tecnologia, quindi, e la blockchain non fa eccezione, se correttamente applicata prima o poi elimina sempre un lavoro lungo la filiera, cioè disintermedia il rapporto che lega il produttore iniziale al consumatore finale.

Non è un caso che molti progetti di filiera promossi come blockchain based, proprio perché non hanno fatto piena e corretta applicazione delle proprietà abilitanti della blockchain, non hanno ridotto costi o procedure attraverso un qualche tipo di disintermediazione, ma hanno semmai fatto leva (mediatica) su una pretesa certificazione e garanzia dei prodotti.

3.      Si può adattare la blockchain a settori non finanziari?

In tutti gli esempi accennati nel precedente paragrafo, dalle banche alle raccolte fondi, esiste un minimo comun denominatore, il fatto che la blockchain esegue innanzi tutto operazioni di carattere contabile delle entry del registro.

Trattandosi infatti di operazioni che attengono al far di conto, esse possono essere soggette ad una validazione di tipo matematico, facilmente eseguibile da una macchina che verifica il bilancio delle transazioni con apposito algoritmo.

Ma che succede se volessimo annotare sul registro dati di natura non contabile? In tal caso non potremmo implementare in blockchain la proprietà sub A (correttezza contabile delle entry), dovremmo quindi rinunciare alla validazione dei dati e accontentarci della sola proprietà sub 2, ovvero la garanzia dell’inalterabilità del registro.

Sembra quindi che al di fuori del modo fintech alla blockchain manchi una gamba e possa servire solo a conservare i dati in ingresso, ma non a verificare (validare) alcunché. E allora la domanda è: perché avere un registro distribuito se su di esso chiunque può scrivere quel che vuole? Se le annotazioni sul registro non hanno carattere contabile, come possiamo verificare che siano corrette (vere?). Dobbiamo allora reintrodurre il tenutario del registro con funzioni di certificatore? e quindi far rientrare dalla finestra quel soggetto che nei sistemi contabili la blockchain ha fatto uscire dalla porta?

Alcuni sostengono di sì, rinunciando al motivo stesso per cui la blockchain è stata inventata. Altri non si pongono il problema e si accontentano di implementare una blockchain zoppa che funzioni cioè come semplice repository sicura di dati.

Ma se le cose stanno così, al netto di mode e falsi profeti, ha ancora davvero senso investire in un progetto blockchain fuori dal mondo fintech?

Forse sì, ma ad alcune condizioni.

4.      Non tutto è perduto.

Una storia scritta a più mani.

Anche se privata della proprietà di validazione dei dati all’ingresso, la blockchain conserva tuttavia la sua architettura distribuita e conserva quindi la capacità di assemblare pezzo dopo pezzo una storia immodificabile.

Se diversi attori, in momenti diversi, caricano in blockchain i dati, ciascuno di essi deve mettere in conto che un domani quegli stessi dati potranno essere usati contro di loro perché nessuno li potrà cancellare o modificare.

Si dirà: ma questo è un effetto che potremmo conseguire anche senza blockchain con firma digitale e time stamping dei file. È vero, ma solo fino ad un certo punto. Infatti, con i metodi tradizionali nulla impedisce al tenutario del registro o ai partecipanti al network di produrre più documenti a T0 ed esibire successivamente solo quello più utile agli scopi che si vogliono perseguire. Si tratta di un fenomeno noto in ambito probatorio che segna la differenza tra le buste raccomandate e i pieghi raccomandati, dove solo i secondi costituiscono piena prova del contenuto e della data della missiva.

C’è quindi almeno un vantaggio nell’adozione di una soluzione blockchain pur senza fare ancora applicazione della proprietà sub A, quello di limitare la produzione di prove documentali false. In altri termini, chi adotta una soluzione blockchain può scrivere una ed una sola storia, vera o falsa che sia. Chi usa sistemi tradizionali, pur utilizzando firme digitali e time stamping, può invece predisporre più storie e raccontare a posteriori quella che più gli aggrada.

Non mi sembra un gran risultato poiché comunque la blockchain non impedisce di creare prove documentali false in T0. Ma quanto più il protocollo di filiera prevede il caricamento in blockchain di dati complementari e ridondanti, quanto più le fonti sono numerose e indipendenti, quanto più complessa è la storia che si costruisce, tanto più difficile diventa mentire mantenendo la sua coerenza.

Non va poi sottovalutato un aspetto che potremmo definire psicologico. La blockchain ha portato alla ribalta le DLT come soluzioni alla normale resistenza che ciascun attore di una filiera ha nel riporre le “sue” informazioni nelle mani di un terzo, magari concorrente. Con una architettura distribuita, invece, ciascuno degli attori condivide le proprie informazioni pariteticamente con gli altri riversandole in un repository comune. Si evita così di costruire o avallare gerarchie informative o commerciali.

Quindi, anche senza la validazione dei dati in ingresso, l’architettura distribuita del registro rende un po’ più difficile l’adozione di condotte opportunistiche senza che ciò lasci una indelebile traccia.

Ma si deve davvero rinunciare, al di fuori del mondo fintech, alla possibilità di validare i dati in blockchain?

Validazione dei dati (open execution).

In una qualsiasi filiera produttiva si possono immaginare modi diversi di applicare le proprietà di validazione distribuita di una blockchain implementando smart contract che filtrano i dati in ingresso o che attribuiscono a talune dichiarazioni degli attori diversi gradi di attendibilità a dimostrazione della bontà e coerenza della storia scritta sul registro.

Non è detto infatti che nessun data entry abbia natura contabile e quindi può bene essere che in alcuni casi i dati in ingresso debbano rispondere a determinati criteri formali (sintassi) e sostanziali (tolleranza e coerenza con valori di riferimento).

Altri dati, invece, dovranno essere recepiti così come sono, vuoi perché non hanno affatto natura contabile, vuoi perché la loro fonte è attendibile a prescindere, per legge o per contratto. Per questi ultimi dati è comunque possibile pensare di attribuire loro un label di attendibilità in considerazione delle circostanze al contorno, ovvero dei riscontri con altri dati precedenti o successivi.

Tipo Descrizione Esempi
Dati soggetti a validazione A Data entry soggetto a validazione sincrona 1.     Le consegne ai vettori non possono superare momento per momento la capacità di produzione del mittente.

2.     Le consegne dai vettori non possono superare momento per momento la capacita di stoccaggio del magazzino del destinatario.

B Data entry soggetto a validazione asincrona 1.     Le quantità rilevate da sensori sul mezzo del vettore devono essere congruenti con i valori indicati dal mittente.

2.     Le quantità di prodotto lavorato devono essere coerenti con le quantità di materie prime ricevute in diverse partite dal produttore.

Dati non soggetti a validazione C Data entry di natura contabile. 1.     Analisi chimiche di laboratorio

2.     Sensoristica ambientale e metereologica.

D Data entry di natura dichiarativa. 1.     Giudizi di audit

2.     Bolle doganali

Anche qui si dirà: ma questi controlli potrebbero essere svolti con un gestionale tradizionale, centralizzato e senza blockchain. E anche qui la risposta è: “vero, ma fino ad un certo punto”. Come abbiamo visto al paragrafo 1, la blockchain sottrae la piattaforma di elaborazione dati alla disponibilità di un tenutario del registro, il che vuol dire che gli smart contract non sono solo programmi per elaboratore, ma sono programmi eseguiti in modalità open execution, nel senso che sono necessitati, inalterabili e soggetti allo scrutinio di chiunque. In altri termini, i protocolli di validazione oltre ad essere trasparenti non possono essere aggirati sicché fungono da controllori del rispetto di termini e condizioni contrattuali ed esecutori degli ordini di pagamento (es.: pagamento della mora in caso di ritardato inadempimento) o di altri obblighi di fare o dare (es.: starter interrupter device nelle macchine movimento terra).

Inoltre, avere un registro al quale tutti riconoscono valore probatorio perché distribuito, consente che esso funzioni anche come verificatore delle condotte negoziali dei partecipanti e come facilitatore del riscontro di performance.

Naturalmente per individuare i dati appartenenti alle categorie A, B, C e D, e per costruire intorno ad esse gli opportuni smart contract di validazione ed esecuzione, occorre eseguire una dettagliata mappatura degli stakeholder e delle attività, ruoli e responsabilità di ciascuno automatizzando quanto più possibile i processi lungo tutta la filiera produttiva. Tutte questioni che attengono non tanto al livello delle risorse tecnologiche impiegate, quanto piuttosto al design della governance, che peraltro va declinata, con profonde ripercussioni di progettazione, a seconda che abbia una finalità solo B2B o anche B2C.

  Smart contract che validano i dati in ingresso Smart contract che automatizzano processi
Esempi Verifica dei bilanci di materia (A) Addebito di penali per ritardato adempimento (C)
Verifica dei consumi in relazione alla produzione (B) Calcolo dei termini di maturazione e conservazione dei prodotti (C)
Onboarding degli attori con autenticazione a più fattori Compilazione DDT

Valore legale delle transazioni.

Un altro aspetto abilitato da soluzioni tecnologiche di tipo DLT è la tokenizzazione degli asset, ovvero la possibilità di accostare alla tracciabilità degli asset l’attribuzione di diritti su di essi, il tutto con valore legale.

Più in particolare, la blockchain in una filiera può non solo tenere traccia del luogo e tempo degli asset, ma può altresì tenere traccia della costituzione, modificazione o estinzione di diritti sugli asset; anzi, con l’utilizzo di token opportunamente creati, la blockchain può direttamente consentire che i diritti circolino incorporati in un titolo di credito o altri documenti di legittimazione (DDT e bolle di accompagnamento) in formato digitale. Una transazione lungo la filiera può concludersi pertanto in blockchain con effetto solutorio e non solo probatorio con il mero scambio di token.

Potenzialità criptovalutarie.

Strettamente connesso al punto precedente è anche l’idoneità criptovalutaria della blockachain. Non solo i rapporti di diritto, ma anche i rapporti di pagamento possono essere tracciati e per di più eseguiti in blockchain, senza il necessario e costoso coinvolgimento delle banche.

In una filiera in blockchain, infatti, anziché eseguire in ogni passaggio il relativo pagamento, si potrebbero aprire altrettante poste di pagamento per poi procedere direttamente a compensazione a periodi prestabiliti o a completamento di un determinato ciclo.

Ma non solo, il risparmio di passaggi di denaro può essere sfruttato per costituire una riserva che gli attori della filiera – i quali effettuerebbero i rispettivi pagamenti con transazioni solo in blockchain – potrebbero utilizzare per il rilascio di garanzie e per facilitare l’accesso al credito. La mancata disponibilità di contante degli attori lungo la filiera sarebbe quindi più che compensata dalla possibilità di adottare strategie di sistema, ridurre degli adempimenti contabili e investire in progetti produttivi.

Questa particolare applicazione della blockchain può essere un driver molto interessante, soprattutto nelle filiere che si prestano ad affrancarsi dalla dipendenza economica da un player primario o che possono implementare soluzioni incentivanti di condotte virtuose degli stakeholder.

Nota: Il tema dell’applicazione delle proprietà criptovalutarie della blockchain è vasto e complesso. Una filiera ben rodata nel settling in blockchain delle partite di pagamento tra i propri attori potrebbe con il tempo adottare una soluzione stile Libra, in cui la riserva è utilizzata per l’emissione di una nuova unità di conto (valuta) tanto forte e appetibile, quanto più il prodotto della filiera ha successo nel mercato. Tale valuta, sarebbe una sorta di quota societaria ancorata però alla qualità e credibilità di un prodotto (domanda) anziché ad un soggetto giuridico. In tale scenario, la valuta diventa marchio d’impresa e il suo valore diventa la capacità evocativa del segno.

Costi di gestione del network.

La possibilità di avere un registro distribuito presso più nodi consente che ciascuno di essi assuma solo una quota dei costi di manutenzione dell’infrastruttura IT. Ovviamente, si tratta di una riduzione di costi piuttosto modesta. Talvolta addirittura trascurabile poiché assorbita per lo più dai costi fissi degli impianti IT che i nodi devono comunque sostenere. Va infine considerato che lo sviluppo di un progetto DLT deve altresì scontare i costi iniziali di implementazione.

Peraltro, in certi settori, per esempio nella gestione del copyright, le opere dell’ingegno oggetto di tokenizzazione sono evidentemente custodite presso gli operatori (CMO) i quali devono farsi carico dei costi di gestione dei database.

5.      Conclusioni

Alla luce di tutto quanto precede, per giustificare l’applicazione della blockchain in ambito non fintech, occorre innanzi tutto distinguere i progetti B2B da quelli B2C (e non spacciare i primi per i secondi!) e poi, per questi ultimi, si dovranno rispettare criteri di trasparenza e verifica effettivi implementando quanto più possibile soluzioni che consentono l’adozione delle nuove condotte che questa tecnologia è in grado di abilitare su rete telematica:

  1. partecipazione coordinata e indipendente di nodi e attori (distribuzione del consenso);
  2. adozione di protocolli open execution di validazione dei dati write e di attendibilità dei dati read;
  3. automatizzazione dei processi attraverso esecuzione di smart contract;
  4. digitalizzazione degli asset e incorporazione in token;
  5. utilizzo di camere virtuali di compensazione di rapporti di credito tra i vari attori della filiera;
  6. meccanismi di incentivazione e reward di comportamenti virtuosi degli stakeholder.

Per ciascuna di queste soluzioni, si possono immaginare delle KPI come ad esempio il numero di nodi e il tipo di relazioni tra essi, numero di attori coinvolti per singolo data entry, volume e valore delle transazioni del network, ecc.

 

 

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